mercoledì 3 luglio 2013

GIU' AL SUD. PERCHE' I TERRONI SALVERANNO L'ITALIA

Un libro di Pino Aprile

di ANTONELLA MACHEDA

Cosa succede dove sembra che non stia succedendo nulla? Nelle regioni più dimenticate, come la Calabria, dove pare esistere soltanto per la 'ndrangheta e la Salerno-Reggio? Forse è lì, sottotraccia, sotto il pelo libero  delle notizie, dove non arriva l’occhio dei giornali (indifferenti al Sud, se non per il sangue e la monnezza con cui lo si vorrebbe identificare), che si prepara il futuro. 
E’ questo il pensiero di Pino Aprile, autore del libro Giù al Sud. Perché i Terroni salveranno l’Italia.
Lo scrittore vede proprio nel Sud quella luce nel buio che, nel disinteresse generale, sta facendo nascere un'Italia migliore, l’Italia di domani. La tesi del giornalista meridionale (e meridionalista) parte da un semplice presupposto: saranno i giovani terroni a salvare l’Italia perché nessuno, più di loro, ha maggiore interesse (e bisogno) a farlo.  Le famiglie del Sud hanno investito, con mille sacrifici, nella cultura dei figli perché la conquista del titolo di studio rappresentava l’unico modo  per affrancarsi dalla condizione minoritaria in cui versavano. Ma oggi, al Sud, proprio quei giovani si trovano costretti ad emigrare (quando va bene al Nord), cedendo le loro competenze a basso prezzo, perché di più il mercato non dà. Mercato che, sempre più spesso, considera i giovani quale merce di scambio,  sottostimata e sottopagata. In Calabria, ed in generale nel Meridione, si assiste quindi ad un fenomeno che somiglia molto a quello da cui scaturì il popolo che fece l’Unità d’Italia: la mortificazione delle classi medio-alte; la sproporzione fra il numero di persone che ne fanno parte e le possibilità di occupazione adeguate; la consapevolezza delle proprie capacità e la legittima aspirazione a gestire il potere da protagonisti, non da subordinati.
Ed è proprio questo il punto di partenza. 
“C’è un Sud che sta perdendo la subalternità, per la tenacia, la modernità, la naturalezza, con cui l’ultima, cosmopolita  generazione vede o vuol vedere possibilità di futuro nella sua terra, recuperandone i valori sottostimati; e, con quelli,  riprendersi l’identità e il passato persi”, sostiene l’Autore. 
Di fronte a questa situazione figlia della necessità (la crisi economica, le inique condizioni di lavoro, la precarietà connaturata ormai nel Dna dei “bamboccioni”), i giovani che decidono di restare sono sempre di più. Sono ragazzi cresciuti in un’ Europa senza frontiere, con una sola moneta, il viaggio facile ed economico: hanno visto altrove i localismi produrre lavoro, ricchezza, con molto meno di quello che una regione antica e pregna come il nostro Mezzogiorno possiede e non apprezza. Insomma: guardano alla propria terra come farebbe uno straniero, vedendo  quello a cui non si faceva caso, perché c’è da sempre.
Ecco trovata la soluzione del rebus.
 “Cosa credi di trovare in borghi persi nelle montagne lontane dall’autostrada, dove va solo chi deve andare proprio là?”, si chiede Pino Aprile parlando dell’entroterra calabrese. Proprio lì, invece, c’è quello che si deve sapere. Spesso però, ci vuole l’occhio del forestiero per vedere: proprio “come gli indios del Potosì, che, con l’argento di cui era fatta la loro montagna, lastricavano le strade. Poi, però arrivarono gli spagnoli”. 
Ciò che un tempo era avvertito come minoritario o subalterno da un punto di vista culturale, politico e sociale, viene visto oggi come un vantaggio, un elemento di distinzione, di differenza, valore anche di scambio delle proprie specificità. 
L’idea di Pino Aprile porta una ventata di ottimismo per chi crede nel Sud, nelle sue potenzialità e nel suo futuro, un futuro che parte dalla volontà di ricostruzione dell’identità  meridionale, avvertita come risorsa economica e personale. 

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